![]() Tradurre può essere estremamente complicato o relativamente semplice. È dai quattro di Greco al liceo che ho imparato a tradurre. Quando ho iniziato a tradurre il Greco antico al liceo, o a fare le versioni come si usa dire, pensavo che i miei insuccessi fossero dovuti alla mia scarsa conoscenza della grammatica. In parte era così, non si può tradurre una lingua se non se ne conosce la grammatica, ma la grammatica è solo la chiave che ci permette di aprire una porta su di un mondo. Un mondo, quello greco classico, che era distante da me duemilacinquecento anni, venticinque secoli, letteralmente un’eternità. Ma non era solo la lontananza temporale che mi impediva di tradurre bene, oltra alla mia, relativamente, scarsa conoscenza della grammatica, era la mia lontananza “empatica” dai fatti descritti nel testo che avevo davanti. Mi concentravo sulla grammatica, come un traduttore automatico, ma non pensavo che dietro quelle parole vi erano persone che agivano nel mondo, pur se profondamente diverso da quello attuale. Non dovevo tradurre, portare da una lingua ad un’altra, le parole, ma dare una versione nella mia lingua di quanto descritto in un’altra lingua. Partire dalle parole, dalla grammatica, per inquadrare l’azione nel contesto, nel mondo reale e renderlo comprensibile al lettore attuale. Allora sbagliavo, ma quegli errori mi hanno aiutato a capire come tradurre bene oggi. Per tradurre bene un mondo bisogna conoscerlo a fondo e una conoscenza profonda non può che essere circoscritta. Per questo ho deciso di offrire i miei servizi solo nel campo che conosco bene, che frequento da trent’anni come praticante e tecnico qualificato, quello dello sport di resistenza. L’errore di traduzione è sempre dietro l’angolo, ma, quando si conosce ben un campo, in fase di rilettura suona un allarme se qualcosa non risponde ai canoni conosciuti e allora si rilegge l’originale per capire se si tratti di un errore di traduzione, dell’autore stesso, di uno scostamento voluto dall’”ortodossia” o si è sbagliato la chiave di lettura, magari non capendo che si doveva rendere la traduzione in chiave ironica. Come diceva il mio professore di Greco, la traduzione più difficile è quella delle fiabe perché un rospo può parlare e un asino può volare, ma nella realtà no. Se nel descrivere Filippide giunto ad Atene per annunciare la vittoria sui Persiani si usa l’aggettivo morente, l’aggettivo in quel contesto avrà un’accezione letterale, mentre in un contesto sportivo attuale sarà più probabilmente figurata e questo sarà ovvio a quasi tutti i traduttori. Ma se un maratoneta risulta aver corso alla media di due minuti al chilometro solo chi conosce la corsa capirà immediatamente che si tratta di un’anomalia, un possibile errore da sistemare. Tradurre bene significa conoscere bene il contesto di partenza e darne una versione nella lingua di arrivo, ossia usare un linguaggio non solo comprensibile, ma anche gradevole per chi legge, un codice che i praticanti condividono e che amano ritrovare in letture specializzate. Se oggi dovessi tornare sui banchi di scuola a tradurre il Greco, approfondirei la loro storia, le loro abitudini quotidiane, ma il mio campo è diverso, è lo sport di resistenza, nuoto, ciclismo e corsa, ambiti che conosco a tutto tondo, da praticante e da tecnico e, si, la combinazione dei tre sport ha dato origine al triathlon, parola greca, ma questa è un’altra storia. Translation services for endurance sportsComments are closed.
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September 2020
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