![]() Fui selezionato per i campionati del mondo juniores e volammo in Francia. I Giochi olimpici di Los Angeles, boicottati dall'Unione Sovietica e dal blocco orientale, erano finiti alcuni giorni prima. Quel campionato fu il primo evento dopo le Olimpiadi in cui atleti sovietici e americani si incontravano. I vertici del Paese, ci disse il dirigente in capo della nazionale, non vogliono che gli americani vincano. Neanche una gara. Gli organizzatori ci avevano messo nello stesso hotel degli Yankees. In arrivo da un'uscita di allenamento una mattina li vedemmo in tuta a stelle e strisce scaricare le bici da un pullman. L'attrezzatura da cronometro che tirarono fuori dai borsoni porta bici sembrava di provenienza aliena. Telai con tubi a profilo aero, ruote anteriori piccole con cerchi a profilo alto e ruote posteriori lenticolari. Caschi aero grossi come una bomba e, cosa ancora più strana, il nostro direttore sportivo chiacchierava con quello americano. Li passiamo pedalando e parlano russo. “Eddie Borysewicz, un vecchio amico”, ci dice il nostro direttore sportivo seduto a tavola per il pranzo. “Ha defezionato negli Stati Uniti dalla Polonia anni fa. Allenava la nazionale polacca juniores, ora lavora con gli americani. Dice che i suoi ragazzi sono velocissimi e sarete fortunati se non vi prenderanno. Sono gli ultimi a partire, ricordate? Voi due minuti prima di loro”. Sogghignammo all'idea che un'altra squadra ci venisse a prendere. Sognatori. Distanziammo gli americani di venti secondi nei primi dieci chilometri. Il vantaggio crebbe ad ogni controllo cronometrico. Lavorando come un orologio svizzero, dando cambi in testa di trenta secondi senza problemi, fummo in testa dall'inizio alla fine senza fiatare. A un chilometro dal traguardo abbiamo iniziato a sorridere e a stringerci la mano. Avevamo più di un minuto di vantaggio sui secondi, gli USA. Abbiamo vinto l'oro. E senza nessun patema. Avevamo portato sei corridori in Francia e vi erano due posti disponibili per la gara su strada. Il percorso vallonato con un lungo rettilineo di arrivo mi si addiceva e il DT mi chiese se volessi correre. Dopo aver passato il processo di selezione, l'addestramento, dissi di no. Con la maglia iridata in borsa non avevo più motivazioni per gareggiare e volevo una pausa. E, mentre tutti sarebbe stati alla gara, io avrei preso la fuga. Durante i miei giri intorno a Caen, dove eravamo alloggiati durante il campionato, osservai una stazione di polizia. Dal nostro hotel potevo raggiungerla in bici in quindici minuti. Dalle storie che avevo sentito su Radio Free Europe su altre defezioni, recarsi alla polizia era l'opzione migliore. Se avessi detto loro che la mia vita era in pericolo, e che non volevo tornare in URSS, avrebbero dovuto lasciarmi restare. Attesi che tutti si recassero sul percorso della gara e misi la maglia iridata, la medaglia e i soldi in uno zaino che avevo comprato appositamente per la defezione. Uscii, salii sulla mia Colnago e pedalai verso la stazione di polizia nel centro della città. Il mio cuore pompava sangue nelle vene con colpi accelerati e le budella mi si contorcevano. Le gambe sembravano maccheroni scotti, anche se avevo un rapporto agile. A duecento metri dalla stazione, mi voltai per controllare se l'agente del KGB che doveva occuparsi di noi mi stava seguendo. Ci siamo, dieci minuti e posso dire all'inferno sovietico “Au revoir”. Si dimenticheranno della bici che sto pedalando in tutto questo casino della defezione che sto per fare? Una Colnago Nuovo Messico rosso Saronni che aveva solo due settimane, volevo tenerla. No, non lo faranno. La notizia verrà resa pubblica? Qui in Francia, di sicuro. “Un campione del mondo dell'Unione Sovietica defeziona a pochi giorni dalla fine dei Giochi di LA” E a casa, se ne accennerà minimamente sui giornali? Mio padre, era silenzioso al telefono quando gli dissi che sarei andato in Francia a gareggiare per i Mondiali. Era silenzioso perché piangeva: “Yuri Elizarov, questo ragazzo, vorrei guardarlo negli occhi, stringergli la mano e ringraziarlo”. Mia madre, che quando iniziai con il ciclismo aveva detto che avrei smesso di andare in bicicletta dopo solo due settimane, ora volevo mostrarle la mia medaglia. “Vedi? Non ho lasciato il ciclismo”. Mi fermai davanti alla stazione di polizia e fissai la porta. Tre passi ed è fatta, non tornerò mai più, non indosserò mai più la maglia rossa della CCCP. Ho guardato dall'altra parte della strada e ho visto un bistrot a cento metri. Siediti, fatti una birra e pensa a cosa stai facendo un'altra volta. Non sono arrivato al bistrot. Non potevo andarmene, non in questo modo. Girati per tornare al porcile da cui sei venuto perché sei uno di loro. Un maiale in un porcile che si vuole strofinare le spalle con altri maiali e godersi il dovuto omaggio. Ho una maglia iridata adesso, dammi il cinque e vediamo cos'altro posso fare. La defezione può aspettare. Posso andarmene quando voglio. Continua.... www.sportintranslation.com ![]() Vinsi la prima tappa a cronometro a Samarcanda e proseguimmo con una vittoria nella cronometro a squadre. Il giorno dopo misi la ciliegina sulla torta con un altro primo posto in una tappa in linea. Se uno tappa era sufficiente per qualificarsi, cosa sarebbe successo con tre di fila? Il direttore tecnico della nazionale raggiunse la nostra ammiraglia dopo la terza tappa per stringermi la mano e darmi il benvenuto in nazionale. Ero dentro. Qualificarsi significava andare a gareggiare nell'Europa occidentale e, se avessi avuto il coraggio di fare il salto, non tornare mai più in URSS. La prima trasferta arrivò in giugno, la corsa a tappe Schleswig-Holstein Rundfahrt nella Germania Ovest. Avevo due giorni da far passare prima di volare ad Amburgo. Saltai su un aereo e andai a trovare Piotr Trumheller a Nalchik, la mia città natale. Appena seduti nel suo appartamento per la cena mi versò un colpo di vodka, un uomo che condivide un pasto con un altro uomo. Gli dissi che la nazionale della Germania dell'Est schierava Olaf Ludwig, il campione del mondo su strada Uwe Raab e Uwe Ampler. “Sei preoccupato? “ mi chiese. “Sì. Soukhorouchenkov li ha annientati nella Corsa della Pace un paio di settimane prima. Vorranno vendicarsi ed eccoci qua, con le nostre maglie rosse. Ci inseguiranno come cani rabbiosi”. “Ti faranno vedere i sorci verdi, di sicuro”, disse. “Ma questi sono i ragazzi contro cui gareggerai l'anno prossimo. Prima impari come funziona, più sarai preparato. È la stessa cosa che abbiamo fatto a Maykop. Hai affrontato ragazzi di un livello superiore per forgiarti. Ha funzionato, non è così?” Mi disse come fosse bizzarro che io avrei visto la Germania prima di lui, un tedesco etnico. Gli risposi che avrebbe dovuto andare a Berlino e saltare il muro. “Chi si prenderebbe cura di mia moglie e dei miei figli se lo facessi?” replicò. Ci zittimmo per un attimo e bevemmo un altro bicchiere di vodka. “Tornerai?” mi chiese e ci versò un altro cicchetto. “Non lo so. Voglio la maglia iridata. Solo allora me ne andrò. E se non mi convocano per i Mondiali? Quindi? Dovrei defezionare in Germania?” Lasciò la stanza per un minuto, tornò con un mucchio di tubolari avvolti nella carta da pacchi. “Cento”, disse, annuendo al mucchio con la testa. “Una scorta che ti ho preparato quando ho saputo che eri entrato in nazionale. Portali in Germania, fai un po' di soldi prima di andare in Francia e lì prendi la fuga. Hai bisogno di quella medaglia d'oro”. Il rublo era un pezzo di carta senza valore fuori dall'URSS, i tubolari sovietici erano la valuta di scambio. La matematica alla base di questo affare indotto dal socialismo era semplice. Il prezzo di mercato dei nostri tubolari in Unione Sovietica era di quattro rubli, il dollaro statunitense aveva lo stesso valore al mercato nero: un tubolare, un dollaro USA. Spendi duecento rubli per cinquanta tubolari e li rivendi agli Italiani o ai Tedeschi per dieci dollari l'uno. Prodotti della stessa qualità in Europa occidentale costano il doppio. Una volta che hai la valuta straniera, la porti a casa e la scambi al mercato nero per meno di quattro rubli per dollaro. I 500 dollari che hai portato da una gara sono ora quasi duemila rubli. I miei genitori insieme guadagnavano quattrocento rubli al mese. Avrei potuto fare duemila dollari con una sola gara in Europa portando cinquanta tubolari oltre il confine per venderli. Volare fuori dal paese non mi preoccupava tanto quanto tornare indietro. Perdere il valore di duecento rubli in tubolari, se la dogana li avesse confiscati era un rischio di impresa, ma portare i dollari in patria non lo era: possedere, comprare, vendere, o contrabbandare valuta estera dentro o fuori dall'URSS era un reato punito con un periodo di carcere così lungo che neanche volevo saperlo. Come fare lo imparai da un compagno di squadra che ci era già passato: il cannotto reggisella. Ho saputo del ruolo del reggisella nel contrabbando quando ad alta voce mi sono chiesto quale fosse il modo più sicuro per far passare una mazzetta di contanti attraverso la dogana. “Arrotolali, fasciali e mettili nel reggisella. Non controllano mai le bici. I bagagli, quelli sì. Ti perquisiranno se avrai un'aria preoccupata. Ma la bici…mai”. Continua.... www.sportintranslation.com ![]() Prima della fine della stagione divenni un membro della squadra in pianta stabile ed ero in camera con un ragazzo che amava gli AC/DC tanto quanto me. Il capo della Titan, Yuri Elizarov, era un uomo alto e robusto, con un viso particolare, molto grande e con le sopracciglia a cespuglio. Non avresti voluto contraddirlo. Mi sono scottato più di una volta cercando di fregarlo mentre cresceva la nostra, tumultuosa, relazione. Era da stupidi prenderlo in giro e mettere alla prova la sua pazienza perché ne aveva poca. In ritardo per un allenamento o la colazione e ti avrebbe rispedito a casa se di cattivo umore. Nessuna offesa era di poco conto. Fai quello che ti diciamo o vattene. Yuri Elizarov non concedeva una seconda possibilità. Da ex alpinista, è stato il pioniere dell'allenamento strutturato in altura nel ciclismo sovietico. Credeva che la somma dei piccoli vantaggi, per quanto dettagli minuscoli, fosse la chiave dei successi in gara. Gestiva la Titan con un pugno di ferro in stile dittatoriale e non aveva paura del potere a capo dello sport sopra di lui. Pur non avendo amici nel ciclismo mise a tacere l'establishment con i suoi metodi di allenamento. La Titan vinse cinque maglie iridate e una medaglia d'oro olimpica nei dieci anni prima che chiudesse nel 1992. Il progetto di Elizarov terminò con la medaglia d'oro di Viktor Rzhaksynskyi nel 1991 nella prova su strada. Un corridore della Titan fu l'ultimo a vincere la maglia iridata per l'Unione Sovietica. Per alcuni Yuri Elizarov era un sognatore eccentrico, per altri un pazzo. Quando mi disse che sarei stato pronto per la mia prima cento chilometri a squadre entro la fine della stagione pensai che fosse pazzo. La classica cronosquadre di quattro componenti era l'apice del ciclismo. È una gara tecnica, complessa. Per fare risultato tutti e quattro i corridori debbono avere una prestazione senza sbavature, è quello che la rende diversa dalle altre gare. È un errore paragonare una cronosquadre ad una crono individuale, l'unica cosa che hanno in comune è che si corre contro il tempo. Le dinamiche e il tipo di corridori adatti a queste gare non sono gli stessi. Quella gara è uno sforzo di due ore ad un ritmo irregolare. In testa apri l'acceleratore quasi a pieno gas per mezzo minuto, quindi ti fai dare il cambio, stai a ruota e ti riposi per novanta secondi. Ripeti, avanti così per due ore. Gli errori, anche piccoli, ti costeranno. Impiega più tempo del dovuto per metterti a ruota dopo che hai tirato e avrai meno tempo per il recupero. Hai mancato l'ultima ruota e hai dovuto chiudere il buco per farti sotto? Lo pagherai. Continua a fare scattini e ti distruggerai. I corridori che potevano rialzare il passo se calava anche di pochissimo senza fare del male ai compagni erano rari. Era necessario un motore incredibile e un acuto senso della velocità per farlo. Se trovi questo tipo di corridore, lo custodisci come una reliquia. Avere o non avere un componente come quello, per una squadra di livello mondiale faceva la differenza tra l’essere competitiva o fallire. Se presente doveva essere al massimo il giorno della gara perché la squadra raggiungesse il risultato previsto. Avere quattro corridori al massimo della forma lo stesso giorno era l'aspetto della cento chilometri che più impensieriva ogni direttore tecnico. Era cosa comune che almeno un ragazzo saltasse. I direttori tecnici esperti sapevano che dovevano aspettarsi che qualcuno saltasse nell'ultimo quarto di gara. Speravano che sarebbe accaduto il più vicino possibile alla fine. La linea dei novanta chilometri era una distanza sicura per non perdere terreno e salvare la gara. Prima della Titan non ho mai pensato a me stesso come ad uno specialista di cronosquadre. Mi piaceva quella gara e la sua durezza, ma il mio cuore era per le corse su strada. Avevo un buono spunto veloce, potevo sopravvivere alle salite a patto che fossero dolci e non lunghe. Con un motore da macchina a cronometro, le classiche di un giorno erano il mio pane. Alla Titan non importava cosa mi piacesse. Uscire dall'Unione Sovietica era il mio l'obiettivo ora e la crono a squadre sarebbe stato il biglietto. Piotr Trumheller, il mio primo allenatore, mi aveva insinuato l'idea. La cronometro a squadre offre maggiori opportunità per farsi un nome di una gara su strada. Sei tu e i tuoi compagni di squadra contro il tempo e nessuna tattica o fuga con cui fare i conti. Cadute e forature sono rare. La gara è pura prestazione e i tuoi rivali non hanno potere su di essa. Negli anni settanta ed ottanta essere selezionati per la squadra che correva il mondiale o l'olimpiade significava possedere il biglietto per una medaglia, spesso d'oro. Il risultato della gara era nelle mani dei corridori più che in una gara su strada. Metti sul percorso quattro specialisti di caratura mondiale e ti porteranno il risultato aspettato. Se vuoi una maglia iridata e i vantaggi che ne derivano, la cronometro a squadra è il modo giusto per ottenerla. Quando Elizarov mi disse che puntavamo alle due ore e quattro minuti nella mia prima cento chilometri a squadre, pensai che fosse pazzo. Questo ci avrebbe inserito al livello dei migliori nel Paese. Voleva che passassi da essere un “signor nessuno” ad un “asso della cronosquadre” in tre mesi. Migliaia di chilometri e parecchie corse dopo registrammo un due ore e quattro alla fine della stagione come aveva previsto. Non un pazzo. Un professionista che sapeva cosa stava facendo. Non credo che ci fosse un altro diciassettenne nel Paese che si avvicinasse a questo tempo. Secondo le regole dell'UCI, non mi era nemmeno permesso gareggiare in quel tipo di competizioni. Come per molte altre cose in URSS, recitavano il nostro esclusivo spettacolo dietro il muro. [Nikolai all’epoca era uno junior, categoria 17-18 anni, e la cronometro a squadre, composte da quattro elementi, per la sua categoria, secondo le regole UCI, era di settanta chilometri, ma lui si allenava, e correva oltre cortina già sulla distanza dei dilettanti, quella delle Olimpiadi, ossia i cento chilometri, NdT] Nell'autunno del 1983 la Titan iniziò la stagione a Gagra, una graziosa località turistica sulla costa del Mar Nero. Il ritiro partì con una riunione di squadra in una stanza sormontata dalla gigantesca figura di Elizarov. Si sedette su una sedia di legno di fronte a una grande finestra in fondo alla stanza. “Siete qui per conoscere i vostri obiettivi individuali per la prossima stagione”, disse. “Non siete qui per divertirti e perdere tempo a cazzeggiare. Siamo qui per costruire campioni mondiali e olimpici. Valuteremo e rivaluteremo i vostri progressi durante la stagione. Se non avete risultati e non mostrate impegno, vi cacciamo”. Ci diede il tempo di digerire le sue parole e aprì un grosso blocco rilegato in pelle. Nelle successive due ore discusse degli obiettivi di ogni corridore per la stagione seguente. Parlò di risultati. Nessuna frase come “Dovresti fare bene in questa gara” o “Dovresti provare a fare del tuo meglio in questa gara”. Parlava per numeri e fatti concreti: primo posto in quella gara o qualifica per questo o quello. Definì gli obiettivi di ciascuno dall'inizio. Stabilì le gerarchie della squadra senza darne le motivazioni e impartì i gradi di ciascuno dai risultati. Dispose i meccanismi interni della Titan in ordine: ciascuno conosceva gli obiettivi e le responsabilità di tutti gli altri. Il mio cuore sobbalzò quando sentii il mio nome: “Nikolka”, usò il soprannome che mi aveva dato, “Medaglia d'oro in un campionato del mondo a cronometro ad agosto”. Spiegò che questo era l'obiettivo principale e quali passi per arrivarci fossero stati stabiliti. “Primo”, disse, “la gara di Samarcanda in aprile. È una gara di qualificazione per la squadra nazionale. Una vittoria di tappa e sei dentro. La cronometro a squadre è la tua tappa perché è la gara a cui punti. Se vinciamo, come dovremmo, almeno due corridori andranno al ritiro della nazionale maggiore in maggio”. “I prossimi tre mesi saranno il periodo di selezione”. Continuò, ”Esamineranno ogni gara, ogni uscita di allenamento, ogni ora della tua vita. Inizieranno con almeno dieci specialisti della cronosquadre a maggio e selezioneranno gli ultimi quattro entro la fine di luglio. Sarà un periodo da taglia gole che peggiorerà con il passare delle settimane. Vogliamo quella medaglia d'oro”. Parlava come un uomo che aveva chiaro in mente ogni passo e non avevo motivo di non credergli. Non aveva tralasciato nessun dettaglio. La fiducia nel suo discorso mi fece cadere ogni dubbio. Continua.... www.sportintranslation.com ![]() Tradurre può essere estremamente complicato o relativamente semplice. È dai quattro di Greco al liceo che ho imparato a tradurre. Quando ho iniziato a tradurre il Greco antico al liceo, o a fare le versioni come si usa dire, pensavo che i miei insuccessi fossero dovuti alla mia scarsa conoscenza della grammatica. In parte era così, non si può tradurre una lingua se non se ne conosce la grammatica, ma la grammatica è solo la chiave che ci permette di aprire una porta su di un mondo. Un mondo, quello greco classico, che era distante da me duemilacinquecento anni, venticinque secoli, letteralmente un’eternità. Ma non era solo la lontananza temporale che mi impediva di tradurre bene, oltra alla mia, relativamente, scarsa conoscenza della grammatica, era la mia lontananza “empatica” dai fatti descritti nel testo che avevo davanti. Mi concentravo sulla grammatica, come un traduttore automatico, ma non pensavo che dietro quelle parole vi erano persone che agivano nel mondo, pur se profondamente diverso da quello attuale. Non dovevo tradurre, portare da una lingua ad un’altra, le parole, ma dare una versione nella mia lingua di quanto descritto in un’altra lingua. Partire dalle parole, dalla grammatica, per inquadrare l’azione nel contesto, nel mondo reale e renderlo comprensibile al lettore attuale. Allora sbagliavo, ma quegli errori mi hanno aiutato a capire come tradurre bene oggi. Per tradurre bene un mondo bisogna conoscerlo a fondo e una conoscenza profonda non può che essere circoscritta. Per questo ho deciso di offrire i miei servizi solo nel campo che conosco bene, che frequento da trent’anni come praticante e tecnico qualificato, quello dello sport di resistenza. L’errore di traduzione è sempre dietro l’angolo, ma, quando si conosce ben un campo, in fase di rilettura suona un allarme se qualcosa non risponde ai canoni conosciuti e allora si rilegge l’originale per capire se si tratti di un errore di traduzione, dell’autore stesso, di uno scostamento voluto dall’”ortodossia” o si è sbagliato la chiave di lettura, magari non capendo che si doveva rendere la traduzione in chiave ironica. Come diceva il mio professore di Greco, la traduzione più difficile è quella delle fiabe perché un rospo può parlare e un asino può volare, ma nella realtà no. Se nel descrivere Filippide giunto ad Atene per annunciare la vittoria sui Persiani si usa l’aggettivo morente, l’aggettivo in quel contesto avrà un’accezione letterale, mentre in un contesto sportivo attuale sarà più probabilmente figurata e questo sarà ovvio a quasi tutti i traduttori. Ma se un maratoneta risulta aver corso alla media di due minuti al chilometro solo chi conosce la corsa capirà immediatamente che si tratta di un’anomalia, un possibile errore da sistemare. Tradurre bene significa conoscere bene il contesto di partenza e darne una versione nella lingua di arrivo, ossia usare un linguaggio non solo comprensibile, ma anche gradevole per chi legge, un codice che i praticanti condividono e che amano ritrovare in letture specializzate. Se oggi dovessi tornare sui banchi di scuola a tradurre il Greco, approfondirei la loro storia, le loro abitudini quotidiane, ma il mio campo è diverso, è lo sport di resistenza, nuoto, ciclismo e corsa, ambiti che conosco a tutto tondo, da praticante e da tecnico e, si, la combinazione dei tre sport ha dato origine al triathlon, parola greca, ma questa è un’altra storia.
HTTPS://BIKE.SHIMANO.COM/EN-US/INFORMATION/NEWS/SHIMANO-GRX--THE-WORLD-S-FIRST-DEDICATED-GRAVEL-COMPONENT-GROUP.HTML
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Ad inizio maggio, Shimano ha lanciato il suo primo gruppo dedicato al gravel, cyclocross o bikepacking, ossia il ciclismo con il manubrio "da corsa" vissuto senza i vincoli del cronometro e dell’asfalto. Il suo nome? GRX. La gamma è composta da RX400, RX600 e RX800, la cui corrispondenza, e compatibilità, va dal Tiagra all’Ultegra o Deore XT, SLX e Deore per chi è più avvezzo al mondo MTB, gruppi di cui Shimano raccomanda l’uso di pacco pignoni e catene. La casa giapponese dichiara di aver passato due anni ad ascoltare le esigenze dei praticanti per offrire una vasta gamma senza imporre scelte, il che sembra anche una giustificazione non richiesta del ritardo nel presentare un gruppo dedicato rispetto agli SRAM 1X stradali.
Il GRX per punti salienti:
I commenti della rete, come sempre, si dividono: chi pensa che Shimano con la sua forza di fuoco monopolizzerà il mercato, chi pensa che SRAM, avendo giocato d'anticipo, sia saldamente al comando. A luglio si inizieranno a vedere le bici per la stagione 2020, il mercato darà il suo responso. Un’ultima considerazione, il mercato gravel sembra non essere più un fuoco di paglia, ha allargato gli orizzonti della bici a gomme, quasi, strette, peccato non vedere Campagnolo tra in protagonisti. Era una nicchia relativamente facile da occupare, con l’avvento di Shimano nel segmento sembra che lo spazio disponibile sia quasi terminato. Per approfondimenti: http://www.cyclingnews.com/news/shimano-grx-gravel-specific-groupset-launched/#disqus_thread ![]() Mi risvegliai in una casetta di legno nel centro di Lesnoye sentendo la mano di qualcuno sulla mia pelle. Aprii gli occhi e vidi un ragazzo vicino al mio letto accosciato. Teneva il mio polso nella sua mano. Indossava una camicia arancione e un cardigan che solo una nonna avrebbe indossato. Un taglio di capelli in stile militare con una frangia dritta lo fece apparire ai miei occhi come se passasse tutta la sua vita in un laboratorio di analisi. “Buongiorno”, disse in ucraino e sorrise. “Controllo la tua frequenza cardiaca a riposo. Scusa se ti ho svegliato. Puoi tornare a dormire se vuoi.” Le parole in ucraino mi passarono per il cervello confusamente, ma avevo capito quello che mi aveva detto. Parlò con tono educato. Prima di quella mattina, avevo sentito due o tre persone parlare in quel modo. Nel paradiso dei lavoratori abbaiamo. Non c’è spazio per “Per favore” e “Mi scusi”, mai un “Mi dispiace”, qui nessuno è mai dispiaciuto per niente. Uno studente di dottorato di Lvov: Yaroslav era una reliquia di un'epoca incontaminata dal comunismo. Diceva “Grazie” e “Per favore”, sorrideva e si prendeva cura di te. “Allora, come è il mio battito?” gli chiesi. “Se non sapessi che sei un ciclista, chiamerei subito un'ambulanza. È sotto i quaranta.” “E sotto i quaranta è positivo?” “Mettiamola così: il tuo cuore pompa la stessa quantità di sangue in una gettata come il mio pompa in due.” “Va bene?” Sorrise di nuovo, mi lasciò il polso e mi disse: “Lo sapremo dopo i test. Torna a dormire.” I test, tutti parlavano dei test. Il capo allenatore della Titan, Yuri Elizarov, credeva nella scienza e nei test. Quello che mi innervosiva era trovarmi di fronte una soglia che non conoscevo o a un numero di cui non sapevo nulla. Dammi un ciclista o un cronometro contro cui gareggiare, non una soglia. Iniziarono a prelevare un campione di sangue la mattina stessa del mio primo allenamento centrala. Pedalai al ristorante del Lesnoye e vidi due giovani donne in camice bianco sedute dietro ad un tavolo. Uno era indaffarata con delle provette, le etichettava e le disponeva in un contenitore apposito, l'altra puntava il suo indice verso una sedia pieghevole che le stava accanto. Sembravano carine e mi balenò l'idea di inchiodare, così da sollevare la ruota posteriore e spaventare le ragazze. Se solo la bravata fosse andata male sarei atterrato sul tavolo pieno di provette e sarei salito su un aereo che volava verso casa quello stesso pomeriggio. “Ho bisogno del tuo sangue”, disse la ragazza con il dito ancora rivolto verso il basso quando mi fermai. “Chiedi per favore”, dissi e allungai la mano senza scendere dalla bici. Lei ridacchiò e disse: “Siediti, cowboy, o potresti svenire quando vedrai i miei strumenti.” Mi prendevano il sangue due, anche tre volte al giorno, prima e dopo l'allenamento centrale e poi la sera. Al terzo giorno la punta del dito si gonfiò e fu una tortura prelevare il sangue da quel momento. Le vampire pizzicavano solo il dito medio e l'anulare. Dagli altri tre, dicevano, era troppo difficile spremere il sangue. Dopo una settimana, finii le dita che non mi facevano ancora male. Una mattina mugugnai su quanto fosse doloroso spremere la borraccia così la vampira disse: “Nessun problema, useremo le tue orecchie finché le tue dita non guariranno.” Quindi arrivarono i cardiofrequenzimetri. Non parliamo dei dispositivi da polso del ventunesimo secolo: il ricevitore viaggiava sull'ammiraglia alloggiato in una scatola delle dimensioni di un frigorifero portatile. Incollavamo i trasmettitori con il mastice da tubolari sulla pelle del petto perché nessuno aveva pensato a delle fasce quando furono progettati. La Titan non aveva tempo per soluzioni eleganti ai problemi logistici: se il mastice funziona, usiamo il mastice. Era compito delle vampire incollare i trasmettitori. Togliti la maglia davanti a due ragazze e lascia che ti cospargano il petto con il mastice. Brillante. Un pozzo senza fondo di battute sconce. La vendetta arrivava dopo l'allenamento quando strappavano via i trasmettitori insieme ai peli del petto. I piangina si depilarono una zona del petto per evitare la tortura. Gli altri, ci beavamo nel dolore. Il test di laboratorio arrivò senza preavviso. Era un giorno di riposo ed eravamo alla fine di un'uscita breve. Nikolai Rogozyan mi si affiancò e mi disse che dovevo preparare una borsa con un paio di pantaloncini, scarpe e calzini per un viaggio a Kiev dopo l'allenamento. “La nostra brigata scientifica non vede l'ora di vederti”, disse sorridente. “Ti piacerà il tempo passato in laboratorio. Cerca di non vomitare.” Il test si svolgeva in una grande stanza piena di strane attrezzature mediche. Un cicloergometro Monark a cinghia stazionava al centro della stanza con una piscina di sudore sotto. L'aria nella stanza era pesante a causa degli odori umani e la puzza di sigaretta. Un uomo e una donna vagavano nella stanza intorno al macchinario di fabbricazione tedesca. Mi dissero di infilarmi le scarpe e salire sul cicloergometro per il riscaldamento. Un uomo alto e magro con uno sguardo diabolico sul viso mi spiegò come si sarebbe svolta la prova. Indicò un metronomo vicino alla bici e mi disse che avrei dovuto sincronizzare la mia cadenza alla lancetta del metronomo. “Finché non collassi” e con questo le istruzioni erano terminate. “Per quanto tempo dovrei continuare?” gli chiesi. Grugnò e disse: “Siamo qui per scoprirlo.” Stavo per fermarmi quando il dottor Diavolo lasciò la sua postazione di comando. Si avvicinò e si fermò nella pozzanghera di sudore accanto a me, mi mise un braccio sulla spalla e mi disse nell'orecchio: “Continua. Ancora trenta secondi.” Tirò fuori un cronometro dal suo camice bianco e premette il pulsante per avviarlo. Dopo che fu passata almeno un'ora, mi disse: “Cinque secondi.” Un'altra ora, “Dieci secondi.” Dopo che ne furono passati altri cinque, volevo fermarmi. La luce si spense e il rumore del mio battito cardiaco era così forte nella mia testa che non riuscivo a sentire il metronomo. Chi se ne frega se resisto altri quindici secondi o no? A meno che i trenta secondi dopo che hai le gambe vuote non siano il test vero e proprio: questo festival della tortura è solo il preludio, un riscaldamento sadico per gli ultimi trenta secondi. Vogliono sapere fino a che punto possono spingerti con un tranquillo “Continua.” Non mi avevano piegato. La mia cadenza era fuori sincronia con il metronomo, ma ho fatto girare i pedali finché il Dottor Diavolo non mi ha detto di fermarmi. Continua.... www.sportintranslation.com ![]() “Eh sì, il momento che tutti aspettavamo è arrivato: il Fenix 5 Plus plasticoso . Ma, un attimo...non è proprio così. Vi sono novità succose sia sotto l’aspetto hardware che software. Il che è logico, visto che il Fenix 5 Plus è uscito quasi un anno fa”. La traduzione dell’incipit della recensione di Dcrainmaker del Garmin Forerunner 945, il nuovo smartwatch della galassia Garmin dedicato al triathlon. Non è facile aggirarsi nella produzione Garmin, spesso i modelli si sovrappongono, ma se consideriamo questo nuovo uscito il top nella gamma triathlon, senza l’abito da aperitivo della linea Fenix, il suo predecessore e termine di paragone è il Forerunner 935, e anche la matematica è con noi, direbbe Monsieur Lapalisse. Quali sono le novità succose. Innanzitutto, l’aspetto intrattenimento-vita quotidiana:
Ma non stiamo cercando un Ipod da polso, quindi andiamo a vedere le migliorie che riguardano più da vicino noi sportivi veri, o almeno così piace considerarci:
Questo in estrema sintesi, per un approfondimento vi lascio alla lettura dell’articolo in inglese. Ah, dimenticavo, tra i fattori aumentati, non necessariamente migliorati, bisogna includere il prezzo… |
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